La moda, che bellezza.
Oggi questo claim non basta più per convincere i consumatori ad acquistare un capo rispetto ad un altro, perché nelle loro scelte conta molto l’attenzione all’ambiente e alle persone.
Nell’industria tessile questa sensibilità sta aumentando negli ultimi anni, perché la produzione di indumenti può essere altamente inquinante, così come potrebbe risultare problematico lo smaltimento dei rifiuti di settore. A ciò si aggiungono anche le richieste di chiarezza sulle condizioni dei lavoratori dell’abbigliamento, considerando inaccettabili, e quindi dannosi per il brand, situazioni di sfruttamento, in particolare per donne e bambini dei Paesi in via di sviluppo.
Secondo l’associazione Donne in Campo il consumo mondiale d’indumenti è destinato a crescere di oltre il 60% entro il 2030; un dato che da solo basta a far comprendere la rilevanza di una moda sostenibile per l’ambiente e per le persone, in linea con le indicazioni Onu fissate con l’Agenda 2030, in cui si pone come obiettivo la creazione di nuovi sistemi di produzione a minore impatto ambientale.
Un primo passo per rendere più sostenibile la produzione dell’industria tessile è quello di utilizzare materie prime meno inquinanti, con una conseguente riduzione di costi e impatto ambientale e favorire quelle riciclabili, che possano rispondere ai principi di economia circolare.
Di certo quando si utilizza “materiale derivato” l’impatto ambientale è più alto rispetto all’uso di materia prima. A titolo di esempio, un capo di poliestere o nylon (fibre sintetiche) è più impattante di uno di cotone.
Ma attenzione, anche tra le fibre di origine naturale bisogna fare i distinguo. Il cotone, ad esempio, richiede 10.000 litri di acqua per chilogrammo, segnando un consumo idrico davvero notevole. In questo caso, si potrebbe scegliere il cotone biologico, anche per la riduzione di eventuali pesticidi nella sua coltivazione.
Nella classifica, allora, dei materiali naturali a minor impatto ambientale subentrano lino, canapa, juta, etc...
Essi hanno bisogno di un basso consumo di acqua e non richiedono pesticidi contro parassiti e malattie.
Tra questi, la canapa è una delle migliori alternative al cotone.
Anche il lino è ottimo per produrre fibre tessili. Inoltre, l’interesse dell’eco-tessile si sta spostando anche su altre piante come la soia e i semi di ricino.
Alcune case di moda stanno valutando anche la coltivazione del gelso per allevare i bachi e reintrodurre la produzione di seta in Italia.
Infine, la ricerca e l’innovazione si stanno focalizzando anche su fibre tessili che si ottengono da una serie di sottoprodotti alimentari come gli scarti delle arance, dell’uva, delle mele.
Insomma, la moda non è solo bellezza. E’ anche attenzione all’ambiente, alle persone e al futuro.